Gran figl de putt Member
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Dopo qualche centinaia di metri abbandonai le ghiaie della Val Montanaia e scesi in quello che d’estate è l’enorme prato di Melluzzo, che nel disgelo diventa una sorta di acquitrino paludoso, popolato da rospi e funghi che prorompono dalle zolle più asciutte ed esposte al sole. Alcuni rospi giacevano morti qua e la, e questo per Kalì fu come per un bambino trovarsi al Luna park, prese a rotolarvisi sopra tutta contenta e soddisfatta, non disdegnando poi, anzi, di ripetere l’operazione sopra a mucchietti di sterco vario. Biork stava li, sopra di lei, a guardarla perplesso, mentre lei sprizzava godimento da tutti i pori, per quell’inconsulta azione, su cui gli studi umani non hanno ancora dato una risposta certa.
Profondamente eccitata, in Kalì prese il sopravvento l’aspetto della terribile Bhavani, lo capii dal suo sguardo particolarmente accesso e feroce, pregno dell’irrefrenabile desiderio di danzare su un cadavere come da sua consuetudine. Chi poteva essere la sua vittima? Il suo sguardo famelico già aggrediva un degno avversario, il Gengis Borte-Tchino, ovvero l’Immenso Lupo-Blu, il cui colore non poteva non rammentargli le spoglie di Shiva, sul cui cadavere alle è solita danzare per perpetuare il divenire universale. Cominciò così a morderlo, a prendergli la coda e poi scappare sollevando enormi schizzi d’acqua dal paludoso lago d’erba, a più mandate, sempre più insistentemente e con maggior ferocia, tanto che il Gigante cominciava a seguire le sue mosse e non più ad ignorarla. Ormai l’Immenso Lupo-Blu non le dava più le spalle e aspettava frontalmente ogni sua incursione. Una epica battaglia si annunciava, la terribile dea sub-himalayana aveva imprudentemente sfidato il signore della steppa, alleato con i potenti signori della Montagna. La terribile danzatrice, spalleggiata, o meglio posseduta dalle Tara Tattva dell’Acqua e dalle Vajra Yogini devote alla Mahadevi, ignorava la duplice natura dello Shiva, che oltre che morente sotto ai suoi piedi, è al contempo guerriero vincitore e portatore di vita. Per far fede al suo cosmico ruolo, il signore del Tridente non poteva che allearsi con il l’Immenso Lupo-blu. Li nel suo luogo naturale, la montagna, dove egli si ritirò per eoni interi dedito alla meditazione e ai piaceri di nettari inebrianti, poteva essere sconfitto? Lo scontro cominciò con nuvole e getti d’acqua scagliati fino al cielo, sagome di corpi avvinghiati, inauditi suoni facevano tremare le coscienze dell’intero creato, ma quest’ultimo tramava nell’ombra affinché la battaglia avesse l’esito necessario a sostenere l’immagine del mondo, il velo di Maya. E proprio da questa soglia, risvegliato dal frastuono uscì furioso, e con gli occhi accesi di fuoco il terribile Yamantaka, con la sua potente testa di Yak coronata dei teschi dei suoi nemici sconfitti, tra cui la morte. Nel gioco delle alleanze invisibili celate dietro lo scontro fisico, l’appoggio del più temibile dei bodhisattva all’immenso Lupo-Blu fu quella che decise definitivamente lo scontro, e l’ordine dell’Universo fu salvo! L’eterno ciclo poteva continuare, sebbene sconfitta Kalì sapeva che perché questo si perpetuasse prima o poi avrebbe dovuto calpestare il cadavere di Shiva, quindi sciogliere i suoi lunghi capelli neri, spiegare le sue dieci braccia, cingersi la collana di teste, la cintura di braccia, brandire la testa mozzata per i capelli, mostrare la lingua gocciolante di sangue e calzare le sue cavigliere di serpenti. Si, l’universo intero aveva bisogno della sua vittoria per vivere, però non questa volta!
Gli attacchi di Kalì si sono susseguiti uno dopo l’altro, ma evidentemente la giornata gli aveva tolto quello spunto di velocità e di riflesso in più, che normalmente possiede. Invece per Biork quella del mattino era poco più che una scampagnata ed era ancora nel pieno delle forze. Ogni attacco era prontamente respinto con potenti colpi di petto, di spalle e di testa che mandavano Kalì per terra, dove il prode guerriero affondava le zanne in un corpo ormai senza energie. Rimasi per un bel quarto d’ora a godermi lo spettacolo, Biork aveva tutto il diritto di restituire mesi di soprusi e angherie. Ma Kalì comunque non abbandonava il campo di battaglia, ad ogni sconfitta si rialzava e ripartiva alla carica con energie inaspettate ma sempre insufficienti anche solo per far si che Biork si bagnasse sopra il gomito. Alla fine dovetti porre fine al massacro incitandoli a seguirmi mentre riprendevo il cammino. Lessi nello sguardo di Biork, quando incrociò il mio mentre mi sorpassava, un barlume di umana soddisfazione, mentre Kalì non aveva perso il suo enigmatico ghigno a bocca semi aperta, sarebbe stata pronta a ricominciare, fino allo sfinimento totale!!
E così eccomi qua, in questo luogo di apparente solitudine e desolazione, di oggettiva esasperazione percettiva. L’udito, pieno e pago del rumore di quest’acqua glaciale, è così protetto dal devastante e assordante silenzio tipico delle notti prive di luna. Quanto sa essere violento e assordante il silenzio, quello estremo, e come non può risalire le anguste scale a chiocciola della memoria il fragore statico udito ormai nove anni fa, in quelle notti passate al Tanque Valentin, nel deserto di San Luis Potosì. La prima notte quando il silenzio veniva interrotto dai richiami dei Coyote, questi mi provocavano inquietudine mentre nelle notti successive, dopo che il silenzio mi era penetrato dentro e lo avevo compreso a pieno, gli stessi richiami erano quasi un sollievo per le orecchie.
Con questo ricordo nella mente, e nelle orecchie questo gorgogliare e questo crepitare vorrei un po’ di quel silenzio, quello che ti impedisce di pensare e ti rende come l’antenna di un insetto, teso e pronto a captare qualsiasi sussulto, sia che provenga da fuori che da dentro. Come è ora Kalì, con lo sguardo fisso in una ignota direzione, là nel buio oltre la vegetazione accesa di rosso dal fuoco. Il fuoco riflesso accende letteralmente il suo sguardo selvaggio, e questo, a sua volta, mi fa vibrare qualcosa dentro che non capisco. Cosa si proverà, cosa si percepirà dietro a quello sguardo? Il desiderio di immedesimarmi in ciò che quello sguardo comunica mi divora ferocemente. Quello sguardo, a differenza di quello amico e fraterno di Biork, non ha nulla di umano, o meglio di umanamente comprensibile. Anche se riflettendoci bene non ha sempre questa luce, questo magnetismo, se mi capita di pensare, di immaginare, di visualizzare nella mia mente Kalì, è così che la vedo, con questo sguardo trasudante di una Natura interiore avulsa ai meccanismi che sorreggono il mio concetto di realtà.
“Vedi, caro mio, che come sospettavi ciò che su cui avevi riflettuto stamattina non si era esaurito e c’era qualcosa di più. Si quella Natura, ti attira, ti attira selvaggiamente e non da oggi. Una Natura interiore che vive di meccanismi lineari e pratici, estranei da ogni sorta di giudizio, morale, etica e interpretazione fittizia, o qualsivoglia complicazione di cui il tuo cervello è pieno. Agire secondo ciò che l’istinto innato e il sentire del tuo corpo ti comunicano. Abbandonarsi in ogni particella del proprio essere alla felicità, al piacere, alla ferocia, all’ira, ad istinti assassini…alla dolcezza, e al gioco…sentirsi parte di un’entità formata da più individualità, e viverne le vicissitudini ed i rapporti in modo sempre lineare e limpido, che si tratti di dominanza, di amore, di fraternità di sottomissione, di scontro e di cooperazione, che sia questa pacifica o violenta o addirittura assassina..ma forse ciò che ti attira di più è forse la capacità di entrare ed uscire da ognuno di questi stati solo per concatenazione di causa-effetto, per puro volere, passare da uno al suo opposto senza alcuna difficoltà, con la massima naturalezza…viverli nell’attimo senza pensare al prima, al poi e a qualsiasi implicazione se non pragmaticamente necessaria.”
“Si è qualcosa che mi attira follemente, che vorrei provare almeno per un istante, non ti sbagli! Il suo sguardo accesso dalle deboli fiamme mi evoca proprio qualcosa del genere, il miraggio di poter percepire e comprendere la natura interiore di un essere come lei, è qualcosa che ha sempre attirato l’animo umano, perché suscita nobiltà, fierezza, ed una sorta di superiorità!”
“ Nobiltà? Ricordi qualcuno vero, che rifaceva la propria nobiltà d’animo e di intento a quella del lupo, tanto da vedere in tal senso anche il proprio nome? E colui che dichiarava di essere lui stesso, e quindi tutto il suo popolo, discendente dal lupo? Ricordi pure quello? Se si potesse dotare di parola delle teste mozzate o di intelletto delle moltitudini d’ossa, credo che avrebbero di che sindacare su un tal concetto di nobiltà!”
“Ti sembra che sia nello stato in cui attecchiscano considerazioni moralistiche, al cospetto di un simile scenario? Dai lascia perdere, lo sai che non attacca…umanamente si potrebbe disquisire a profusione sull’argomento ma le conclusioni a cui si arriverebbe sarebbero vuote di ogni senso e valore in un contesto come questo. Ti sei forse dimenticato di quante volte mi hai dimostrato che tutto è relativo alla condizione da cui osservi le cose?”
“ L’unica cosa che posso dire è che forse è folle pensare di associare una Natura interiore come quella ad un sistema percettivo come quello umano!”
Si, forse è quella la chiave mi dico osservando ancora quell’imperioso sguardo che fissa inflessibilmente qualcosa di ignoto nel buio. Quel mondo interiore è proprio ed inscindibile dalla sua maniera di percepire, dalla maniera in cui i suoi sensi gli descrivono l’ambiente circostante. Mi ritrovo a fissarla nutrito di un desiderio, forse malsano, per cui possa esistere un modo negli arcani meccanismi dell’universo attraverso il quale, fissando appunto una cosa, si possa creare una simbiosi e vedere e percepire come se si fosse della stessa natura dell’oggetto, una sorta di osmosi tra soggetto e oggetto.
D’un tratto mi trovo ad osservare uno scenario sconosciuto, qualcosa di simile ad un paesaggio lunare, monotipico. Ma il paragone non è molto esatto perché pian piano mi rendo conto che sto osservando una bassa e rada vegetazione, ma di un colore argenteo opaco. No, tutto è di un colore argenteo opaco, ma ogni cosa ha diverso grado di opacità. Le foglie rasentano qualcosa che può rasentare la definizione di lucentezza, mentre il terreno, all’opposto, rappresenta la tonalità più oscura di questo inquietante colore. Non riesco a percepire alcun tipo di profondità nell’ambiente circostante, e questo mi disorienta, prendo a voltarmi in ogni dove, per riuscire ad avere un’orientamento spaziale. Man mano che la mia vista si abitua a questa luce, comincio a percepire qualche diverso livello di profondità attraverso le diversità di lucentezza ma la sensazione è ancora opprimente, sembra di essere con il naso contro un quadro, uno scenario vivo, che si muove ma privo di profondità, una sorta di bassorilievo animato. E come sposto la visuale da destra a sinistra, e come se questo bassorilievo mi rimanga appiccicato a pochi centimetri, e la trama di questo scenario cambia e si evolve come si mi trovassi in una normale dimensione spaziale. Allora cerco una via di salvezza volgendo lo sguardo verso l’alto ma non sembra esservi differenza molto rilevante, mi sento come inscatolato, in una trappola perpetua che si rinnova ad ogni mio movimento e cambio di visuale. Guardare verso l’alto però mi da una sorta di sollievo, non di tipo intellettivo ma semplicemente una sensazione puramente corporea che comincia a pervadermi. Mi rendo conto di stare osservando le stelle nel cielo, ed è la loro visuale a darmi di nuovo un senso di profondità, ma se abbasso lo sguardo l’opprimente sensazione ritorna, quindi, passo dalla benefica contemplazione degli astri all’osservazione della realtà circostante al fine di cercare di muovermi. Proseguo con questo alternanza finche pian piano l’ambiente comincia inspiegabilmente a dilatarsi dallo scenario asfissiante da bassorilievo, in direzione a me opposta. Solo dopo che questo processo è pienamente innescato un sordo e deciso rumore, come di un legno spezzato, mi invade il cervello e mi rendo conto che sto udendo l’ambiente circostante mentre prima, nei momenti di oppressione il mio udito era come congelato. Mi ci vuole meno di niente per rendermi conto che è proprio l’udito che mi sta ridonando la sensazione di tridimensionalità che prima sembrava svanita. Ma la mia visuale ha acquisito profondità, è la percezione dei suoni circostanti, o meglio è l’inaudita facoltà di percepire l’esatta ubicazione della fonte del rumore a fornirmi una sorta di inintelligibili punti, che essendo ognuno ad una diversa distanza da me, costruiscono la profondità della mia percezione. Incredibile è come questi punti rimangano fissati in un’oscura capacità mnemonica nonostante la fonte cessi di vibrare. Se questa dopo un movimento non percepito riprende ad emettere dei suoni viene subito riconosciuta, e come se ogni diversa fonte che si palesi al mio udito rimanga come impressa e venga riconosciuta a livello sonoro in qualsiasi circostanza, anche quando questa esce dal campo uditivo per poi rientrarvi. In un crescendo che sembra inesauribile, nuovi suoni si palesano a questo straordinario senso, che sarebbe riduttivo definire solamente uditivo, ed è straordinaria la peculiarità selettiva che permette di concentrarsi su di un suono, magari proveniente da una sorgente lontana, che emette a bassa intensità, nonostante nei paraggi via siano innumerevoli fonti di intensità tale da coprire quasi tutti gli altri suoni. Sembra esserci come una capacità di escludere, o meglio mettere in secondo piano tutto ciò che non appartiene all’obiettivo volontariamente prescelto. Ecco che mi ritrovo a penetrare il muro di un intenso rumore d’acqua, come a divertirmi per diletto a prestare attenzione a qualche impercettibile vibrazione che oltrepassa questo muro, e poi applicare questa peculiarità selettiva per raccogliere un’unica e completa unità informativa sulla fonte, sia qualitativa, sia quantitativa che di ubicazione. Tutto in un sol attimo, dopo che vi è concentrata l’attenzione oltre il muro dell’acqua. Ci sono rumori però che non riesco ad identificare ma che il mio intelletto scheda e registra, e riconosce ogni volte che si ripresentano. Un brulicante brusio si cela oltre questo muro, una folata di vento che scuote foglie lontane, un sasso che rotola da solo, un topolino o piccolo animale che si muove febbrilmente attorno ad uno stesso punto, forse la sua tana…non distante un uccello notturno sbatte con potenza le ali in direzione contraria rispetto a quella in cui si sta muovendo per terminare il suo volo aggrappandosi ad un robusto ramo, che flettendosi cigola sinuosamente con intensità decrescente. E’ pesante, è un grosso uccello. Nel muro del suono dell’acqua sento chiaramente un grosso sasso che cedendo d’improvviso e per chissà quale motivo alla forza dell’acqua, percorre qualche metro nel letto del fiume per poi incastrarsi nuovamente.
Ad un tratto un suono pare accendere tutto il mio essere, ogni fibra sembra concentrata nell’ ”udire” quel suono, un sommesso calpestio, a tratti più deciso. In poco tempo tutti gli altri suoni vengono come spenti e la concentrazione su questo suono diventa impeccabilmente totale. A poca distanza un suono simile ma più deciso anche se più debole, è sicuramente più distante ma non di molto, è sicuramente più grande ma non di molto. D’un lampo l’informazione è recepita da tutto il mio essere, un animale aggraziato dalle zampe sottili e dall’elegante movimento, si muove entro piccoli tragitti con il collo reclinato verso il suolo. Strappa dell’erba, dei germogli dagli arbusti, ogni tanto alza testa e si ferma, per poi riprendere la sua attività. Più precisamente c’è un animale più grande e uno più piccolo e più impacciato. Il mio interesse comincia inspiegabilmente a concentrarsi su quest’ultimo, comincio a seguirne i minimi movimenti. E’ come se una parte di me spingesse per protendersi ad individuare altre vitali informazioni su questo animale più, e la mia testa si protende in avanti. Ma ci vuol poco per rendermi conto che è qualcosa che da dentro di me attira qualcosa fuori da me. Improvvisamente mi rendo conto che le mie narici stanno inalando ed espirando freneticamente quantità d’aria impressionanti e seguitamente mi ritrovo a percepire un’intenso odore, particolare e molto familiare. E’ il mio odore, lo riconoscerei tra milioni di interferenze, è qualcosa di innato e potentissimo, è come se fosse la mia immagine, nitida e precisa. Non avevo fino ad adesso, in questo assurdo cambiamento sensoriale, prestato attenzione agli odori, quel rumore lontano mi aveva fatto rendere conto di avere a disposizione anche questo straordinario senso. E’ come se tutto l’ambiente circostante si stesse accendendo, prendendo ulteriore vita. Se prima da una visione opprimente avevo conquistato la profondità attraverso i rumori, ora attraverso l’olfatto la descrizione qualitativa dell’ambiente è qualcosa di estatico, di completo e inimmaginabile. Percepisco l’odore sprigionato dall’acqua del ruscello come una consistente nuvola che si espande e si contrae, l’odore delle rocce sotto di me è come se donasse colore ad ognuna di loro. Un fantasmagorico susseguirsi di correnti, scie spirali, di ondate di vento cariche di piccole nubi diverse, mi raccontassero il mondo circostante ad una profondità inimmaginabile. E’ qualcosa di straordinario!
Una forte folata di vento mi inonda, decine di odori confusi associati a delle sorte di idee informi saturano la mia percezione. Tra tutti ne distinguo uno chiaro netto e preciso. E’ quel piccolo animale!! Qualcosa dentro la parte più profonda di me è come se si rompesse di schianto, facendo fuoriuscire qualcosa! E’ come se il riconoscere l’odore di quell’animale fosse come l’aver trovato la parte terminare di una combinazione che attiva un meccanismo. Ora udendo i rumori da esso provocato è come se potessi vederlo, non a livello di immagine, ma ad un livello ancor più completo. Quel qualcosa fuoriuscito è come un’onda di calore che sta accendendo ogni fibra del mio corpo, e come se qualcosa stesse prendendo in me il sopravvento sulla mia volontà. L’immagine non immagine dell’animale mi sta letteralmente eccitando, o meglio mi sta inducendo uno stato di iper lucida euforia. Comincio a muovermi senza volerlo, una zaffata di un odore acre, caldo e pungente per un istante mi distrae verso una ignota fonte di luce. Nulla può ora distogliermi da quell’eccitamento. Attraverso d’un sol balzo il fiume, e già dopo qualche passo oltre ad esso il suo rumore e il suo odore scendono ad un livello secondario, facendo letteralmente esplodere di imput l’ambiente di fronte a me. Tutto ciò che giungeva come un brusio attraverso il muro dell’acqua ora era un caos primordiale di rumori, punti di riferimento, odori ed altre sensazioni inspiegabili. Se non fossi preso da questo incalzante eccitamento penso che potrei rimanere qui per sempre rapito da questa saturazione percettiva. Tutti i miei sensi mi stanno conducendo con passo furtivo ma deciso verso quel piccolo animale, accompagnato da uno più grande. Ma il vero motore è questo eccitamento euforico che comanda ogni passo, che rende la concentrazione inalterata su quel rumore nonostante il caos circostante. La memoria di quell’odore è fissa e ben presente e subito lo ritrovo sul terreno. Posso vedere la scia, ma subito prende la forma dell’immagine non visiva dell’animale davanti a me, che si muove tranquillo, bruca e poi scatta per qualche passo. Attraverso l’odore posso come rivederlo nel tempo passato quando era sul luogo che sto annusando. Si lo “vedo” nitidamente in ogni suo minimo movimento, e non v’è alcun minimo dubbio in me che l’ “immagine” che vedo è quella esattamente fedele a ciò che si è svolto in quel luogo non molto tempo prima. Gli odori mi stanno comunicando tutto ciò che è accaduto lì ed ad una certa distanza, in un certo arco di tempo. Un rumore mi riporta all’immagine presente, ma traslata nello spazio, dell’animale. Il fuoco che mi sta divorando da dentro è come se fosse magneticamente attaccato a questo animale. Mi avvicino sempre di più, a tratti più velocemente, a tratti più piano e sommessamente. Ma questi cambi sono indipendenti dalla mia volontà, è questo fuoco di eccitamento ed euforia che guida ogni passo. A tal fuoco ora, man mano che mi avvicino, si aggiunge, quasi ossessivamente il ricordo di uno odore inteso e pastoso, e di una sensazione di potenza. Entrambe sembrano montare esponenzialmente man mano che mi avvicino, i muscoli cominciano ad essere presi da qualche spasmo per la contrazione, il rumore avvicina sempre di più l’”immagine”, mentre gli odori della vegetazione e la loro sagoma di lucentezza mi indicano una via già scritta tra gli arbusti. Ecco che dietro uno di questo vedo la sagoma opaca dell’animale che bruca, poco oltre la sagoma dell’animale più grande con la testa rivolta verso di me. Mi ha sentito, quello piccolo invece no. Il fuoco è ormai al limite, sto per esplodere, come se stesse giungendo una sorta di orgasmo, tutte le mie articolazioni sono contratte al massimo, la bocca semiaperta sta riempiendo i polmoni d’aria. Come al rallentatore vedo il collo dell’animale alzarsi verso il cielo, volgendo lo sguardo nella mia direzione. Due luci scintillanti nella sua testa mi colpiscono ed è come se qualcosa a lungo trattenuta si liberasse in tutta la sua potenza, mi sto muovendo a velocità assurda verso queste due luci, spinto non dagli arti ma bensì dal ricordo di quell’odore pastoso e quella strana sensazione. Sento i miei denti affondare nell’animale. Sento quello più grande fuggire rumorosamente assieme ad un’altra miriade di abitanti del luogo che si trovano nelle circostanze. Tutto si oscura e si zittisce, rimango solo con l’animale, e l’odore pastoso di un liquido scuro che si sprigiona nella bocca e in tutto l’ambiente. Ciò spinge al massimo l’euforia cinetica del momento che cerco di scaricare scuotendo energicamente la testa da una parte all’altra, con scatti potenti e repentini, accompagnati da un progressivo ed inesorabile serrarsi delle mascelle. Ed ecco che quella strana sensazione non è più un ricordo, ma comincia a riempirmi, spegnendo gradualmente questo fuoco ormai insostenibile. E’ come se questa frizzante e calda sensazione provenga dall’animale che stringo tra i denti. Ormai ha mitigato il fuoco, trasformandolo in una rilassante ed appagante quiete e sicurezza. So che durerà un po’ anche se non so il perché. Ma so inconsciamente anche che prima o poi svanirà e poi riapparirà, e quel fuoco mi divorerà ancora, e ancora e ancora, fino al momento in cui un fuoco più grande del mio metterà fine a questa ciclicità, per darne vita forse ad un’altra.
Un’ondata di fumo mi riempie gli occhi, sono imbambolato davanti ad un cumulo di braci. Devo essermi addormentato seduto. Cerco subito con lo sguardo Kalì nel punto in cui stava prima ma non la vedo. Pesantemente intorpidito mi volto indietro e la vedo accoccolata a fianco di Biork. Dormono pesantemente.
Mi stiro le braccia sopra la testa levando lo sguardo al cielo. I carri hanno ormai compiuto la loro rotazione intorno alla Stella Polare, le stelle del Medio cielo sono passate ormai dalla parte opposta della vallata. E’ molto tardi, non manca molto all’alba. Ci allontaniamo dal ruscello cercando riparo dall’umidità della notte sotto il tendino montato sotto i primi alberi. Il caldo sacco a pelo mi accoglie ad un meritato riposo. Buonanotte!
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IO CE L'HO PROFUMATO
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