Speriamo di non dover leggere di altre brutte fini.
31/8/2009 - LA STORIA
Parco d'Abruzzo, in coda nel bosco per vedere l'orso marsicano
È il fenomeno dell'estate nell'area abruzzese.
Decimati dai bracconieri, ne rimangono 50 esemplari
PESCASSEROLI (L’Aquila)
Non è propriamente un vis à vis con Yoghi – l’orso marsicano è più piccolo di quelli americani, il grizzly e l’orso bruno, e grazie a dio è di gran lunga meno pericoloso - ma insomma, vista la frequenza con cui avvengono gli avvistamenti e l’estasi stampata sul viso di chi scende dopo aver vissuto l’esperienza, si può ben parlare del Parco nazionale d’Abruzzo come della nuova Yellowstone italiana.
Il «bear watching» è il fenomeno dell’estate e anche uno splendido esempio di convivenza con un grande predatore, gestito bene e trasformato sapientemente in risorsa economica. Ogni giorno l’escursione organizzata da un’agenzia locale per osservare qualcuno dei cinquanta orsi che vivono nelle foreste del parco fa il tutto esaurito: cinquanta euro a testa per avventurarsi lungo i sentieri e tra i faggi, salire in cima a un montagna (cinquecento metri di dislivello), cenare al rifugio, sperare di vedere l’orso e poi scendere a valle in ogni caso rilassati. Perché così insegnava anche Mario Rigoni Stern. Quando qualcuno gli chiedeva un consiglio per vivere meglio, lo scrittore amante di montagna rispondeva con semplicità: «Camminate, andate per i sentieri, vedrete che la sera vi addormenterete molto più facilmente».
Aspettando il letargo
Gli incontri con gli orsi marsicani sono sempre più frequenti: non è facile trovarli, sia chiaro (anche se a volte si avvicinano loro al cibo degli uomini, facendo qualche razzia nei pollai, entrando in qualche cantina o in qualche frutteto non lontano da Pescasseroli), ma dopo i momenti difficili vissuti gli anni scorsi, quando il bracconaggio ha colpito duro e sono state trovate carcasse di orsi e di lupi (il rischio è costante), in questi giorni si può dare la bella notizia. Aggiungendo che per vederli sono le ultime settimane, e anche le migliori, perché tra poco gli animali andranno in letargo. In questo momento, invece, vanno in giro rimpinzandosi di bacche e insetti, per accumulare più scorte di grasso possibile nel letargo.
Il parco ovviamente regola severamente il «bear watching»: ha chiuso alcune strade per non disturbare gli animali (aquile, lupi, cervi, caprioli) e i permessi sono centellinati. Per gestire meglio l’orso l’anno scorso il Wwf ha donato recinti elettrificati anti-raid. L’animale non è pericoloso per l’uomo, beninteso. In fondo è un simpatico fannullone, un opportunista che dorme molte ore al giorno e gironzola la sera e la notte. Di sicuro non ci aspetta dietro l’albero per rubarci i panini e tanto meno aggredirci. Adora la frutta: mangia al 75 per cento soprattutto vegetali, poi invertebrati e carne in minima parte, specie le carcasse. Non è un cacciatore come il lupo, il suo motto è «minimo sforzo, massimo rendimento»: alveari, polli e pecore sono preda degli esemplari più audaci, se non sono protetti da recinti elettrificati o da cani.
Sanno come tenerli a bada anche in Trentino, nelle fortunate foreste del Parco Adamello Brenta. Boschi, laghi e praterie d’alta quota, le uniche dalle quali l’orso bruno (più grande di quello marsicano) non s’è mai estinto e in questi anni conosce una nuova e fragile rinascita: venticinque plantigradi sono il risultato del progetto «Life Ursus» che dal 1996 ne ha reintrodotti una decina, grazie al lavoro di Wwf, provincia di Trento e Parco Adamello Brenta. Gli animali si sono riprodotti perché la zona è intatta, ha grandi foreste, poche strade e rocce dolomitiche piene di cavità naturali, tane ideali; e soprattutto perché la maggior parte degli umani li ha accettati, consapevole che la loro presenza è il miglior simbolo di natura vera e un formidabile volano turistico.
La brutta fine di Bruno
Qui conoscono le imprese di
Jurka e di
Jose, genitori di
Bruno, l’orso ucciso in Baviera nel 2006. Molti ricordano Jurka che attraversa a nuoto con i piccoli il lago di Tovel: indimenticabile. Di un’orsa e del suo cucciolo racconta anche Cesidio, della Ecotur abruzzese: «È andata bene ieri, abbiamo visto mamma orsa con il piccolo. C’erano anche turisti saliti in fuoristrada su una strada vietata alla circolazione, mettendo anche noi a rischio di caduta massi. La Forestale li ha multati».
Anche qui la montagna è un ecosistema fragile, da proteggere: a Pescasseroli carrozze trainate da cavalli portano i turisti a spasso per il centro, le biciclette e i fuoristrada spuntano da ogni parte e fiumi di ragazzi sciamano fino a notte inoltrata. Perché no, ma più in alto orsi, lupi e aquile possono vivere tranquilli: si incontrano molte tracce di orso lungo i sentieri (pietre rivoltate, escrementi), basta fare un po’ di silenzio, restare sotto vento, binocolare un po’ e l’avvistamento non è impossibile: «Ne abbiamo trovato uno che mangiava tranquillo le bacche di un cespuglio – dice Cesidio - spostava pietroni per trovare gli insetti. Era buffo, la parte anteriore color crema come avesse una maglietta. Ha passato il crinale ed è scomparso».
Gli orsi sono animali per nulla aggressivi: per un paio di chilometri possono correre ai 50-60 all’ora, ma lo fanno quasi sempre per scappare dall’uomo. Nei rarissimi incontri ravvicinati si spaventano più di noi e tutto quello che si vede è un sedere in fuga fra tronchi e foglie. In Slovenia, dove ce ne sono circa 500 (altrettanti in Croazia, seimila in Romania) in dieci anni c’è stata una sola vittima, che si era avvicinato ai cuccioli.
Vale dunque la pena di proteggere l’orso, di non trattarlo come una belva pericolosa: in fondo è anche l’animale che ha condiviso le grotte con i nostri antenati, le montagne con i nostri padri e – sotto forma di peluche - le culle con i nostri figli.
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