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Photo and video stories ....

 
 
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Old 15-06-2008, 21:43   #1
woland77
Gran figl de putt Member
 
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Eccomi qui, finalmente, dinanzi al crepitare di un allegro fuoco, le cui fiamme danzano spasmodiche al cospetto di cupe ed enormi sagome nere di roccia, e luccicanti astri nella più recondita profondità sconosciuta. Finalmente, dissi poc’anzi, e mai parola fu più appropriata…dopo un lungo inverno dedicato a mostre, addestramento, lavoro e quant’altro, eccoci a casa, tra le nostre montagne che ormai da tempo avevamo dimenticato salvo qualche rara capatina fugace, e di più non potevamo permetterci visto che nel branco si era aggiunta una nuova leva che non era ancora in grado di affrontare tutta questa magnificenza. Infatti per la diavolessa Kalì questo è il vero e proprio battesimo del fuoco, ieri sera nottata in camper sotto cateratte d’acqua e violenti dardi luminosi scagliati dalle furibonde mani di Giove. Stamattina il primo vero e proprio approccio con la montagna, quella vera e severa…e come se non bastasse stasera la prima nottata all’addiaccio, nell’arida e sterminata distesa ghiaiosa che prorompe dalla Val dell’Inferno, una secca e decisa spaccatura tra l’omonima cima e l’imponente bastione dolomitico del Pramaggiore. Vista dall’alto, questa distesa costantemente alimentata dei suoi ciottoli bianchissimi dall’incessante susseguirsi dei disgeli, appare come un deserto di sabbia bianca che non può che riportare alla mente le montagnose distese desertiche del Sonora e del Potosi, certo in miniatura, ma l’effetto è molto simile. Quest’anno il disgelo si protrae a lungo, e la distesa è ancora costellata di rivoli e ruscelli d’acqua glaciale, infatti il continuo gorgogliare di uno di questi ci riempie le orecchie, lasciando spazio solo per la scoppiettante voce di questo fuoco. Alla mia destra Biork se la dorme di gusto, ormai esperto e rodato, mentre staccata un po’ da noi, ove il rossore delle fiamme riesce appena ad accenderne il pelo, Kalì sta come una sfinge, tutti i muscoli pieni e contratti, le orecchie ritte e gli occhi attentissimi. Eh!..La prima volta fa un certo effetto mia cara, anche per un semi-lupo come te, vero? Sembra intendere i miei silenziosi pensieri, tanto che si volta per un istante volgendomi uno sguardo indagatore, per poi tornare attenta a fissare l’immensa oscurità, mentre il mio, di sguardo, si perde nelle assurde forme che prendono vita tra le braci incandescenti.
Il torpore del caldo sprigionato, e lo sguardo fisso nel centro più rosso è come sempre catalizzatore, per la mia mente, di viaggi a ritroso nel tempo, non molto in questo caso, perché la mente arriva veloce, come se fosse la prima fermata di una metro, alla giornata appena trascorsa, rivisitandola per aumentarne l’effetto appagante.

Dopo un’intera notte, passata alternativamente a sussultare per le saette e a riassopirsi con il ticchettare della pioggia, finalmente arrivò il mattino, orfano del sole e ancora carico di pesanti nuvole che avvolgevano tutto. La pioggia concedeva ormai da qualche ora una fragile tregua ma tutto lasciava presagire che le ostilità del cielo sarebbero riprese prima o poi. Annusando l’aria piuttosto fredda, e notando la debolezza dei venti che facevano danzare le nubi, era possibile dedurre con buon margine di sicurezza che la minaccia, per un’eventuale giretto, riguardasse solo una doccia a cielo aperto, e che il rischio di essere flambati da qualche saetta era praticamente nullo. Comunque tutto, dopo un’intera notte chiusi in camper, chi li avrebbe tenuti un solo minuto in più in quella dorata e confortevole cattività? Forse un lampo?, un tuono?..Nah!!..già i freschi e carichi odori della montagna bagnata, che insistenti entravano da una fessura del finestrino appena aperto per l’appannaggio totale, li avevano elettrizzati in men che non si dica…non li avrebbe trattenuti neanche la certezza di trovar la morte!..e allora, giusto il tempo di preparare una muta da pioggia per ricoprire il più insulso animale lì presente in quel mattino, lo zaino in spalla, una magica parola, “andiamo!”, eee…Beh, ben potete immaginare cari amici l’esplosione di incalcolabili Joule di energia che si sprigionarono tra tendini muscoli e ossa contratti e dilatati freneticamente…esplosioni di cristallini zampilli d’acqua dalla rada vegetazione circostante percossa da pelosi corpi in movimento…inumani ringhi e grugniti che per qualche istante zittivano il coro mattutino della montagna…di sicuro mancava il sole a questo inizio di giornata, ma non di sicuro la vitalità!!!

Assistendo a queste baldanze mi sono incamminato verso Oriente, intento a risalire, per quanto possibile, il sentiero che solca la ghiaiosa valle del Ciol Demont, che si presentava grigia e avvolta dalle nubi nella parte superiore. Salendo di buon passo, rinvigorito da una temperatura tutt’altro che estiva e un’aria frizzante, mi godevo la danza delle nuvole che trasformavano lo scenario continuamente, mentre i miei prodi compagni, lasciata la baldanza del via, ora procedevano con il naso al suolo, cambiando repentinamente direzione, prendendo una pista odorosa per poi lasciarla dopo un’istante per prenderne un’altra o semplicemente ritrovare la stessa che bruscamente aveva virato in una direzione improbabile. Kalì letteralmente euforica si abbandonava a queste vie odorose tanto da dimenticarsi di noi per centinaia di metri, salvo poi, alzare la testa e cercarci con lo sguardo, e raggiungerci celermente. Ma l’istinto la rapiva già dopo pochi metri e via di nuovo, il richiamo degli antenati forse è troppo forte per lei mi dicevo, perché non ricordavo che Biork avesse mai perso la testa a quel modo. Non che l’istinto di caccia gli manchi, e poco dopo me lo avrebbe dimostrato.. passati una quarantina di minuti di marcia Kalì come al solito scompare dalla mia vista e la vedo poco più in la, risalire freneticamente un ghiaione laterale…poco più in su un camoscio stava salendo, un centinaio di metri più in alto…l’aveva scovato la demonietta!! Il camoscio saliva consapevole ma piuttosto noncurante della presunta situazione di pericolo ma, dopo un’istante, essendosi Biork reso conto della situazione, l’ho visto dirigersi verso l’attacco del ghiaione. Decisi di non richiamarlo, tanto, mi dissi tra me e me, non lo avrebbero seguito per molto su quell’impervio terreno. E invece dovetti ricredermi; puntato il pendio nel senso più verticale possibile il mio patatone mi lasciava esterrefatto nell’esibire una progressione sui posteriori da far allibire anche il padrone di casa che stava poco più sopra. Penso che si sia mangiato un cinquantina di metri di dislivello in 30 secondi forse, lasciandosi Kalì alle spalle, e costringendo il camoscio a cominciare a servirsi di tutto ciò di cui madre natura l’aveva dotato per queste evenienze. Che spettacolo Biork, mi pare di rivedere ancora la scena, qui tra le fiamme…un vero spettacolo di potenza ed eleganza.

Rimasi qualche istante a fissare la parte alta del ghiaione dove il camoscio era svanito dalla mia vista. La mia percezione visiva era sbarrata da una spessa coltre di nuvole che lasciavano solo a l’immaginazione il compito di presagire cosa ci fosse più in alto. Certo che quel ghiaione era proprio affascinante, era incassato in una stretta fenditura dalle pareti verticali avvolte dalle nubi. Il mio desiderio esploratore non ebbe bisogno di troppo tempo per prendere il controllo sulla mia volontà, e mi sono ritrovato a lasciare il sentiero segnato e a cominciare ad inerpicarmi in quella improbabile lingua di ghiaia.

Facendo due rapidi calcoli in base al mio orientamento cercai di dedurre a che livello sarei sbucato sotto le pareti delle Torri Postegae, ma alla fine mi dissi: “Vai, che te ne frega di dove sbucherai!!”. E così feci, mi abbandonai totalmente all’ambiente che stavo cavalcando lasciando per strada le congetture da animale-uomo. Nel frattempo gli altri componenti del branco manifestavano il loro entusiasmo di proseguire la marcia lungo le tracce della preda appena sfuggita, mordendosi amorevolmente e uggiolando felici. L’atmosfera di quel luogo era a dir poco surreale, le verticali pareti comunque colonizzate da un bosco misto di conifere e piante decidue sembravano reggere un tetto di ovatta bianca che si avvicinava sempre di più, anche se non capivo perfettamente se ciò era dovuto al mio ascendere o alle nuvole che si abbassavano per avvolgerci. Sicuramente era dovuto ad entrambi i fattori, e in pochi minuti ci ritrovammo immersi in un soffice mare bianco di umidità gassosa al limite della condensazione liquida, tanto che ci ritrovammo bagnati in poco tempo nonostante non piovesse palesemente. Quella insolita sensazione non durò molto, ben presto uscimmo, come partoriti da quella nuvola in una sorta di limbo. Ci ritrovammo in un’ampio versante ghiaioso che scendendo dava vita a vari canali come quello che avevamo appena risalito. Oltre la nuvola non cera il sole, ma bensì uno spazio limpido e più sopra delle nubi ancora più alte. Eravamo come avvolti dalle nubi e la scena era alquanto appagante per i miei sensi tanto che posai lo zaino e cercai un’amica roccia su cui ristorarmi con un po’ di frutta secca. Non ci volle molto tempo e mi adagiai riprendendo fiato, pieno e pago delle sensazioni che dalle mie pupille entravano nel cervello, nonché dalle mie narici e dalla mia pelle. Come sempre in queste situazioni, loro due mi guardavano un po’ delusi, non comprendendo il motivo per cui ci eravamo fermati. Riflettei qualche istante su questa cosa, e arrivai alla conclusione, che il fatto non è che loro non siano mai stanchi, ma che spesso e volentieri la nostra differenza di specie ci porta ad essere poco sincronizzati. Se fossero loro a decidere sarebbero altri i momenti e luoghi in cui riposare, ma purtroppo per loro sono io a decidere i ritmi della giornata. Ma la loro capacità di adattamento alle situazioni, è innata, bastano pochi minuti per cui lascino la voglia di proseguire lungo la traccia di una eterna ed ipotetica preda, quasi una chimera, e si abbandonino al riposo. Per Kalì questo processo fu un po’ più lungo penso tra me e me, volgendo di nuovo lo sguardo al suo muso appena bagnato dalla luce rossastra del fuoco, ormai molto debole tanto da costringermi ad alzarmi per alimentarlo un po’. Si, lei è più restia ad accettare e a sottostare al sentire umano. Lo vidi dai suoi sguardi in quel momento per me di estremo rilassamento tra le nubi, ma riflettendoci ora mi rendo conto che lo vedo spesso, nel quotidiano, quando le parlo, le ordino qualcosa o quando le sue azioni sono condizionate da quelle dell’ambiente umano dove vive. E’ una sorta di sguardo di lieve sbigottimento, d’incomprensione che si nota maggiormente quando la sgrido, o le nego qualcosa. Non è che non sia sottomessa all’uomo, lo è, perché quando l’imposizione gerarchica minaccia di divenire fisica la sua mimica per manifestare la subordinazione è qualcosa di pittoresco. Ma è questo alone di incomprensione nel suo sguardo che la rende diversa, appartenente ad una sfera più selvatica credo, rispetto agli altri cani, Biork in primis il cui raffronto è sotto i miei occhi quotidianamente. In lui ho potuto notare una sorta di adattamento della sua logica al vivere umano, seppur in maniera diversa dagli altri cani che ho avuto in passato, ma pur sempre potevo notare in lui, fin da cucciolo, che comprendeva le regole del nostro vivere e il suo sguardo grave e supplicante nei momenti di azioni da me indesiderate ne erano la prova. Per lui non c’è mai stato problema ad accettare che la notte non finisce fino a che non mi alzo dal letto per esempio, oppure con il tempo ha capito che sia presente o no qualche bipede certe cose non vanno toccate anche se invitano la curiosità. Per Kalì è una questione semplicemente di causa-effetto: quando il primo fotone che dopo otto minuti di viaggio nello spazio dalla fonte della nostra vita urta la sua palpebra, e il secondo entra nella sua retina la notte è finita, non ci sono storie. Qual è l’insulsa e avulsa umana legge che vorrebbe il contrario sembra dire il suo sguardo attonito verso di me quando alle 5 del mattino le comando di rimettersi buona a dormire sulla sua branda, perché devo andare al lavoro! La sua curiosità con il tempo si è mitigata con l’associazione di stimoli negativi, sempre connessi alla presenza dell’uomo. Ma per quanto negativi e costrittivi questi stimoli possano essere per dissuaderla dal ripetere una certa azione, nel momento in cui il bipede è assente, e il bagliore fulmineo dell’istinto primevo le inonda il cervello non c’è ricordo di stimolo negativo che possa riemergere talmente forte da soffocare ciò che ha voglia di fare. “Ah potreste obiettarmi che forse bisogna vedere quanto polso ci ho messo!” mi verrebbe da dire a dei bassi alberi che si stagliano dalla massa dell’oscurità grazie alla luce del fuoco, che silenziosi e immobili ascoltano le mie riflessioni. E no, il polso l’ho messo e qualche volta ho calzato pure quello d’acciaio. La questione è che ogni fibra del suo essere è regolata dalle leggi di una sfera di esistenza che per nessun motivo si compenetra alla nostra anche se questa condivisione qualche volta sembra avvenire, ma perché è l’opportunismo proprio a quella sfera che crea una sorta di allineamento che in realtà è illusorio e non oggettivo!
Qualche attimo o minuto (e chi può dirlo con certezza?), di assopimento sulle potenti e torride braci di questo fuoco ora mi stanno riportando all’umido, fresco e avvolgente assopimento di questa mattina. Si che bello è stato assopirsi dopo qualche pagina letta e appunto scritto nonostante pesanti nuvole cariche di potenziale bellicosità idrica pendevano sia sopra che sotto di me. O meglio, il bello venne al risveglio e alla presa di coscienza di essersi assopiti così naturalmente in una situazione così umanamente sfavorevole piuttosto che nell’assopimento stesso…è un vizio umano quello di non riuscire a godere a pieno dell’attimo ma piuttosto del ricordo!
Mi alzai di scatto girandomi su me stesso, la situazione non era cambiata anche se qualche pennellata blu appariva in alcuni angoli del cielo. Biork e Kalì era già seduti davanti a me e pendevano dalle mie labbra; sapevo benissimo cosa si aspettavano che dicessi.

Come potevo non accontentarli leggendo nei loro sguardi un’aspettativa sana e limpida, ma non volevo già scendere, l’unica alternativa era quella di salire o di tagliare il costone di traverso cercando di raggiungere un vecchio sentiero dismesso che poi si sarebbe ricollegato a quello segnato lasciato qualche ora prima. L’idea non mi allettava, soprattutto perché non sapevo il tipo di fondo che avrei trovato, e quanto avrei dovuto far camminare la piccola Kalì che, nonostante non dimostrasse alcun affaticamento, non doveva essere caricata esageratamente. Un altro giro su me stesso mi portò a guardare verso l’alto, dove il ghiaione ormai colonizzato da bassi mughi finiva contro la base dei bastioni rocciosi delle Torri Postegae. “Si dai, andiamo a vedere cosa c’è lassù, dove inizia il mondo verticale!” dissi ai miei prodi. Abbandonai la mia roba li come si trovava e libero d’ogni impacciante suppellettile mi lanciai in una folle corsa verso l’alto, contro la forza di gravità, lo sguardo fisso sul terreno per calibrare ogni appoggio e ogni spinta, godendo della immane trazione percepita nei muscoli delle gambe, con la bocca semiaperta e le narici spasmodicamente dilatate per incamerare più aria possibile, cercando di ritmare il respiro per evitare di sfiancarmi ed essere costretto a fermarmi, una sorta di Pranayama estremo e dinamico. Ovviamente due sagome pelose, la cui eleganza cancellava in un istante il piacere di quello sforzo estremo e senza senso, facendomi sentire goffo e inappropriato, già mi precedevano tagliando la mia traiettoria a destra e sinistra, seguendo una via che per loro sembrava già scritta nelle rocce ma che per me era incomprensibile. Per un attimo alzai lo sguardo verso l’alto, non mancava molto, strinsi allora i denti cercando di ignorare i violenti impulsi di dolore dai muscoli delle cosce che ormai urlavano la fine della loro disponibilità cinetica. Ormai arrancando e madido di sudore, accaldato follemente in ogni centimetro del mio corpo arrivai ad un piccolo sperone roccioso che segnava la fine tra il dominio degli animali dotati di zampe e i luoghi dove osano le aquile.

Volsi lo sguardo verso i miei compagni e potei leggervi un’enorme soddisfazione. Sono certo, e lo sento, che in questi momenti di insensatezza umana loro mi amano follemente, mi sentono più vicino a loro, mi adorano come meravigliati di un’azione per loro inaspettata. Seduto su una roccia mi fermai a riprendere fiato, al cospetto di un panorama conteso tra terra e cielo, tra montagne e nuvole. Appena qualche minuto e capii che avrei dovuto muovermi nuovamente, e in fretta anche! Un lento ma crescente ticchettare di gocce d’acqua sulla testa mi stava comunicando che la tregua era durata anche troppo, e che era tempo di riguadagnare luoghi a me più consoni. E così cominciò a piovere copiosamente rendendo scivolosa e piena di insidie la discesa appena calcata in senso opposto, con il pensiero allo zaino aperto e alla mia roba sparsa per terra, che di li ha poco cominciai a vedere qualche metro più sotto. Giunto nel luogo della pennichella infilai tutto nello zaino disordinatamente, me lo issai sulle spalle, quindi il cappello ed infine il poncho. Così, una volta indossata la muta da pioggia potei godermi una tranquilla e cauta discesa sotto un costante copioso scosciare d’acqua che, ben presto, oltre a provenire dal cielo, sembrava sgorgare da ogni dove. Piccole e prima impercettibili scanalature del terreno si trasformarono in rivoli d’acqua che gorgogliavano sommessamente, dalle pareti rocciose prorompevano fiotti d’acqua che cadevano nel vuoto finendo la loro corsa alimentando altri rivoli; dagli alberi cadevano cadenzati scrosci d’acqua rilasciati dai rami che non riuscivano più a trattenere il peso della pioggia accumulata dalle foglie. Ogni angolo, l’alto come il basso, l’orizzontale come il verticale era sotto il dominio dell’elemento acqua, con tutto il carico di rievocazioni archetipiche proprie di quell’elemento, Ninfe e Silfidi danzavano in quel tripudio acqueo!
La magia di quel momento non durò poi molto, perché dopo un’oretta la pioggia continuò a scendere riflettendo i primi raggi di un timido sole che tentava di farsi spazio tra le nuvole, sempre più insistente cercava di contendere all’acqua il dominio della scena fino a quando il rumore della pioggia cessò lasciando il primo piano del palcoscenico ad un luminoso e persistente gocciolare da ogni cosa, compreso me stesso, che ero zuppo dalla testa ai piedi. Biork e Kalì cominciarono quindi a scollarsi tutta l’acqua che avevano accumulato, e la cosa era divertente perché continuavano a camminare in discesa scollandosi di continuo senza fermarsi, perdendo la loro eleganza e la tipica sicurezza del loro passo tanto che finivano anche per inciampare. Una volta giunto al camper lo squarcio azzurro dominato dal sole era ormai enorme, e un caldo corposo, spesso e umido come quello delle foreste tropicali aveva attanagliato l’atmosfera. Bè tempismo migliore di questo non avrei potuto sperare, potevo così togliermi tutto di dosso e crogiolarmi al sole nudo come un verme. I vestiti, appesi ad ogni appiglio del camper, come i miei lupastri, fumavano intensamente restituendo al cielo parte dell’acqua accumulata…la restante veniva rivendicata con successo dalla terra, che con la forza di gravità la strappava sotto forma di pesanti gocce. Tutto l’ambiente circostante sembrava coinvolto in questa sorta di tiro alla fune.
Nell’ultimo baluardo carrozzabile della strada di montagna che si inerpica fin qui non si vedeva anima viva, e questo mi dava un senso di benessere assurdo. Dedicarmi a tutte le piccole cose che necessitano di essere fatte dopo un’escursione, nudo e scalzo, pensando ad alta voce, mi dava un senso di appagamento enorme. Mi sentivo veramente a casa come mai prima di quel momento, nonostante sia irrimediabilmente legato a quei luoghi ormai da più di dieci anni. Questa baldanza animale e selvaggia si assopì con il sole che cominciò a calare e ad intiepidirsi, ricordandomi che appartengo alla razza umana, e che necessitò di coprirmi a certe temperature. Rivestitomi mi dedicai a rifocillare i miei compagni che, gradirono molto la cena anticipata. Io però ancora non avevo fame e già pensavo alla nottata guardando il cielo ormai sgombro dalle nuvole. La giornata era stata magica, potevo accontentarmi e abbandonarmi ad un comodo e ristoratore sonno nella mia casa con le ruote, ma non ero assolutamente convinto. Non potevo certo strafare, le belve erano già stanche, soprattutto Kalì. Mi venne allora l’idea geniale che qui mi ha condotto: “Una bella nottata con falò sull’enorme fiumara, un’oretta di cammino senza dislivello, anche in caso di repentino cambiamento atmosferico il rientro è abbastanza semplice…dai, fatta!!”
Freneticamente mi dedico ai preparativi, in queste occasioni è come se ci fosse un’oscuro motivo che mi rende impaziente anche se razionalmente non vi sarebbe nessuna ragione per avere fretta. Mi ritrovai a guardare lo zaino un po’ perplesso dalle sue dimensioni, che mi risultavano un po’ spropositate per le necessità. Ripassai un rassegna un po’ tutto: reflex e cavalletto, no, non li posso lasciare..la digitale neppure, tendino da mare assolutamente no, l’umidità mi marcirebbe le ossa..coperta per i bimbi?!..no, se la meritano…sacco a pelo, giaccone, cena, machete, un libro, …scuotendo la testa arrivo alla conclusione che mi serviva tutto e quindi mi caricai il fardello e via un’altra volta, con sommo gaudio dei lupastri. Risalgo la stradina fino al crocevia dei sentieri, quindi puntiamo verso Nord-Ovest, dove le fiumare della Val dell’Inferno e della Val Menon danno vita all’insolito deserto. Mentre le ghiaie scroccavano letteralmente sotto il peso degli scarponi e dello zaino, mi voltai un’attimo verso il camper, solitario e immerso nella rada vegetazione. Mi venne come in un lampo la scena del film “In to the Wild” dove si vede il bus immerso nel verde, un po’ da distante. “Eccolo li, il mio Magic Bus” dissi, e mi abbandonai ad una sana risata per il paragone.
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IO CE L'HO PROFUMATO
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